Negli anni più bui della Repubblica italiana, tra scandali, omicidi eccellenti e misteri mai risolti, si muoveva nell’ombra una rete invisibile, potente, trasversale. Una loggia segreta, una vera e propria “cupola istituzionale”: la P2, Propaganda Due.
Guidata da Licio Gelli, “il Venerabile Maestro”, la P2 non era solo una loggia massonica deviata. Era una macchina da guerra. Un laboratorio clandestino dove si fondevano intelligence, affari, politica, finanza… e mafia.
Ma quanto era profondo il legame tra la Loggia P2 e Cosa Nostra? E cosa cercavano davvero quei due mondi all’apparenza così distanti ma, in realtà, perfettamente complementari?
Una Loggia segreta al centro del potere
La Loggia P2 era stata formalmente riconosciuta dal Grande Oriente d’Italia nel 1971, ma operava come una struttura segreta e parallela. Quando fu scoperta nel 1981, l’Italia restò scioccata: la lista dei suoi affiliati comprendeva politici, magistrati, alti ufficiali dell’esercito e dei servizi segreti, giornalisti, imprenditori, banchieri e manager pubblici.
Tra i nomi più noti: Silvio Berlusconi, Umberto Ortolani, Roberto Calvi, Generale Vito Miceli, Giulio Grassini e moltissimi altri. Ma oltre a queste figure, c’erano uomini d’affari e intermediari legati ad ambienti mafiosi. Ed è lì che si apre il vero vaso di Pandora.
Mafia e P2: un’alleanza silenziosa
Il legame tra mafia e P2 non era formale, ma funzionale. Entrambe avevano interessi convergenti:
- La mafia cercava protezione, appalti, reti di influenza nei ministeri e nelle forze dell’ordine.
- La P2 cercava forza sul territorio, consenso, uomini pronti a operare senza fare domande.
Il canale era spesso rappresentato da imprenditori di copertura, da banchieri opachi come Michele Sindona, o da servizi segreti deviati che facevano da ponte tra Stato, loggia e criminalità.
Il caso Sindona è emblematico: banchiere legato a Cosa Nostra e affiliato alla P2, era coinvolto nel riciclaggio di denaro mafioso e nella creazione di fondi neri per finanziare operazioni coperte. Venne “suicidato” nel carcere di Voghera nel 1986 dopo aver annunciato che avrebbe parlato.
Il Banco Ambrosiano, Calvi e il filo oscuro
Un altro nodo centrale è il caso del Banco Ambrosiano, guidato da Roberto Calvi, anche lui legato alla P2 e con rapporti sospetti con la mafia e la finanza vaticana.
Nel 1982, Calvi venne trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, in uno scenario che sapeva più di messaggio che di suicidio.
Molti analisti ritengono che dietro quella morte ci fosse una resa dei conti tra P2, mafia e altri poteri oscuri, per via di fondi spariti, patti non rispettati e verità troppo vicine a venire alla luce.
La strategia della tensione e i servizi deviati
L’inchiesta sulla P2 svelò anche il coinvolgimento della loggia in una più ampia rete che puntava a manipolare l’ordine democratico in Italia. Alcuni membri erano implicati in episodi oscuri della strategia della tensione, come la strage di Bologna, e in progetti di golpe, come il tentato colpo di stato del principe Junio Valerio Borghese.
In questo contesto, la mafia diventava un braccio operativo utile, una struttura militare parallela capace di agire sul territorio con efficienza, intimidazione e silenzio.
Un patto che non è mai finito del tutto
Anche dopo lo scioglimento della P2 da parte del Parlamento nel 1982, molti suoi ex affiliati sono rimasti protagonisti della vita pubblica italiana. Alcuni hanno scalato il potere, altri si sono “riciclati” in ambienti riservati, in nuove logge o in club elitari.
E il legame con la criminalità organizzata, sebbene meno evidente, non è mai stato completamente reciso. Le logge coperte continuano a esistere, e in molte inchieste moderne – soprattutto nel Sud – emergono ancora rapporti tra massoneria deviata e clan mafiosi, come confermato anche da indagini della Commissione Parlamentare Antimafia.
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